giovedì 15 aprile 2010

(4) Di cosa succede all’ Intensivo, altrimenti chiamato seminario residenziale “The Spirit of the Earth”

Secondo giorno di intensivo
Dopo un breve sonno, i partecipanti vengono buttati giù dal letto alle 7. Senza fare colazione, ci si deve trovare nello spazio davanti al tempio per fare ki-training.
Il ki-training dura circa 2 ore e si tratta di una serie di esercizi, prettamente fisici, che dovrebbero aiutare ad acquisire il "potere personale".
Fare il ki-training era assolutamente obbligatorio e chi arrivava in ritardo o non si presentava, veniva ripreso in modo diretto o indiretto dal maestro che sottolineava la sua "mancanza di impegno" o simili facendogli fare una figuraccia davanti al gruppo.
Aolcuni esercizi erano anche piacevoli, ma ce n'erano altri che si rivelavano molto dolorosi, soprattutto per le persone più anziane, come racconterò qui di seguito. Anche chi si rifiutava di fare un esercizio o proseguirlo perchè avvertiva dolore veniva ripreso dal maestro che interpretava quel rifiuto come l'espressione di un "processo" che poteva variare dal "non essere capace di andare a fondo nelle cose" all' "atteggiamento rinunciatario e da perdente di fronte alle difficolltà della vita" a quant'altro gli venisse in mente di relativo (o completamente inventato) alla vita di una persona, e a cose che il maestro sapeva perchè la persona stessa aveva condiviso in precedenza ai seminari o raccontato a lui in forma privata. Ovviamente, tutto ciò che il maestro diceva alle persone veniva detto pubblicamente con un tono di voce che potesse essere ben udito anche dagli altri partecipanti.
I partecipanti si accomodavano per terra su un asciugamano o una copera che dovevano portarsi dietro.

I primi esercizi consistevano in massaggi vari ai piedi, esercizi per sciogliere i muscoli delle gambe e delle braccia, esercizi molto dolorosi in cui le persone dovevano fare ruotare il collo singendo la testa in avanti, in dietro e lateralmente, in cui dovevano spingere la testa all'indietro fino al limite del dolore e oltre (esercizio molto gradito a tutti quelli che soffrivano di cervicale!) e che servivano, veniva detto dal maestro, ad esplorare i propri limiti nella sopportazione del dolore.

Si passava quindi ad una serie di esercizi di equilibrio, tipo la "camminata zen" dove bisognava camminare muovendosi pianissimo e, al suono del gong, bisognava immobilizzarsi nella posizione in cui si era, non importa se con un piede sollevato nell'atto di fare un passo, e il maestro passava di persona in persona esercitando con la mano una pressione sullo sterno per "provare" il livello di centratura nel ki. Chi perdeva l'equilibrio era, ovviamente, non-centrato. Chi rimaneva in equilibrio gongolava per la sua capacità di "rimanere nel ki", il che equivaleva a dire "rimanere nel proprio potere personale".
Mi sembra che prima di cominciare questi esercizi, chiamati "esercizi di centratura", il maestro spiegasse le 4 leggi del ki:
per mantenersi nel proprio ki, che equivale al centro di massa del corpo, situato circa 2 dita sotto l'ombelico, bisogna fare le seguenti cose, o una sola di queste o tutte insieme:
1) portare il peso in basso - sentire le gambe e i piedi pesantissimi, come fossero piombo
2) usare solo i muscoli necessari ad una certa azione, cioè non avere tensioni muscolari che non servono
3) mandare l'energia in una direzione, un punto preciso e mantenerlo costante
4) portare l'attenzione nel proprio ki e mantenerla in quel punto.
Il maestro diceva: "La buona notizia è che se voi riuscite a realizzare uno solo di questi stati, avete automaticamente anche gli altri,; la cattiva è che se voi perdete uno di questi stati, automaticamente perdete anche gli altri.
Dopo questa spiegazione si facevano vari esercizi per provare l'essere nel ki applicando una di queste tecniche, ma non mi dilungherei più di tanto in questo senso. Se però c'è qualcuno interessato a descriverli o a saperne qualcosa di più sarò lieto di approfondire.

Fra gli esercizi di centratura c'era quello che consisteva nel mettersi tutti in fila davanti al muro del tempio e fissare un punto davanti a sè. Una volta che l'attenzione era concentrata su quel punto e che si "sentiva" il flusso dell'energia personale fluire dal proprio ki verso quel punto e indietro dal punto al proprio ki, si doveva cominciare ad indietreggiare lentamente fino alla distanza limite in cui si riusciva a percepire il flusso dell'energia, ossia, prima che lo si sentisse interrompere. Più lontano si riusciva ad andare, più forte era l'energia a disposizione. (...E che bravi, quelli che arrivavano più lontani. Ammirevoli davvero. Un traguardo importante per la vita. Scusate i commenti, a volte non riesco a trattenermi. Sarà che non sono nel mio ki...).
La versione dolorosa di questo esercizio, che più che un esercizio mi sembra una forma di sadismo gratuito del maestro e che anch'io, come tanti, ho acconsentito a subire per "il bene della mia evoluzione" consisteva nel mettersi in ginocchio in posizione di "seizàn" (scusate la mia ignoranza ma non so come si scrive), praticamente in ginocchio con le ginocchia vicine e la schiena ben dritta. Assicuro che già dopo pochi secondi cominciavano a dolere le caviglie, le ginocchia, le gambe. Poco dopo cominciavano a fare male la schiena, le spalle ed il collo.
Mantenendo questa tremenda posizione, si doveva fissare un punto nel muro fino al limite del dolore e, diceva il maestro, si doveva superare quel limite e rimanere così ancora per un tempo indefinito. Ai primi segni di cedimento, il maestro raccontava che, durante il suo soggiorno presso un monastero zen, lui doveva fare quell'esercizio per non so quante ore e doveva mantenere l'immobilità assoluta perchè c'era un monaco che girava con la bacchetta e bacchettava chi si muoveva appena.
Il maestro, invece, non bacchettava nessuno con la bacchetta. Piuttosto andava vicino a chi cominciava a dar segni di cedimento incitandolo a mantenere la posizione, sempre con la solita solfa del "guardarsi i propri limiti, i propri processi, il proprio inesistente potere personale" ecc. Ho visto persone arrivare a piangere e urlare perchè non erano riuscite a mantenere la posizione, e stiamo parlando di signore anche già abbastanza avanti con gli anni, che venivano schernite dal maestro con frasi tipo "fai la vittima anche nella vita", "guarda come usi il dolore" e amenità del genere.
Dopo un tempo che sembrava eterno, il maestro finalmente dichiarava finito l'esercizio e ci si rialzava tutti belli doloranti, ma fiduciosi di avere "esplorato il limite" sotto l'attenta guida del maestro. (Credo che l'amico MenteAposto non esiterebbe a commentare il limite di cosa).
Poi, una volta finiti questi esercizi di centratura, si passava a quelli di respirazione forzata (credo che si chiami così, mi si corregga però se il termine è un altro) mutuati dal Rebirthing. I partecipanti si dovevano sdraiare sui loro asciugamani o coperte, ricordiamolo, appoggiati sul duro asfalto del piazzale antistante il tempio per la gioia delle schiene, e si cominciava un tipo di respirazione che non prevede intervalli fra l'espirazione e l'inspirazione. In breve si finisce in iperventilazione e dopo poco subentra una sgradevolissima reazione fisica che si chiama "tetania". La tetania è una dolorosa contrazione dei muscoli dovuta alla massiccia e improvvisa affluenza di ossigeno. Con la tetania si contraggono dolorosamente i muscoli intorno alla bocca, le dita si irrigidiscono e tendono ad unirsi, così irrigidite, verso l'interno della mano che si contrae piegandosi verso il braccio come se venisse spinta da una forza esterna, si contraggono i muscoli delle gambe e quelli del torace provocando dolori intensi nella zona dello sterno.
Man mano che l'esercizio va avanti, le persone cominciano a contorcersi e piangere e urlare e vomitare succhi gastrici, sempre però stoicamente continuando a respirare in modo forzato. La scena, se qualcuno avesse la ventura di vederla come osservatore esterno, sarebbe degna dei migliori scenari descritti nell' "Inferno" dal nostro sommo poeta.
I dolori vengono interpretati dal maestro come vecchie memori dell'abuso che il corpo non ha mai dimenticato e che affiorano attraverso la "purificazione" dovuta all'immissione massiccia di ossigeno.
Diversi partecipanti, che forse non sono molto al corrente degli effetti squisitamente fisici di questa respirazione forzata, credono veramente di avere mosso l'energia bloccata di eventi traumatici ricordati dal corpo e a questo esercizio spesso seguono memorie di abusi vari che si sarebbero subiti da bambini.
Dopo circa 3 quarti d'ora di respirazione, finalmente l'esercizio finisce lasciando i malcapitati partecipanti devastati sia nel fisico che nell'emozione. Non ci sono momenti di condivisione dell'esperienza vissuta. Il grupppo di condivisione ci sarà più tardi, dopo colazione, all'inizio dei "lavori".

Si passa quindi agli esercizi fatti con le catane di legno.
I partecipanti vengono invitati a sceglierisi un compagno con cui lavorare e (molti col volto ancora rigato di lacrime) vanno a prendere una catana da una delle 2 ceste poste vicino alla porta del tempio.
Il maestro spiega che la catana è il prolungamento della propria energia e quell'esercizio serve a mettere alla prova la propria capacità di "tagliare" con persone o situazioni "perverse".
Ci si mette uno di fronte all'altro. Si prende la misura della distanza tenendo la catana in posizione orizzontale, ben dritta davanti a sè, con la punta che sfiora quasi il naso dell'altro. Questo è un esercizio piuttosto terrificante per molte persone perchè il rischio di dare o prendere una catanata in faccia o in testa è veramente alto, e a volte succede.
Il maestro sottolinea che la buona riuscita dell'esercizio è legata alla capacità di "fidarsi" dell'altro e inserisce, all'interno di questo esercizio, un altro esercizio (a meno che non lo abbia già fatto fare prima di passare all'esercizio delle catane). Questo esercizio lo chiamerò "esercizio della fiducia" e lo descriverò alla fine di quello con le catane, per non creare troppa confusione.
Il maestro mostra rapidamente una serie di movimenti che si devono fare maneggiando la catana per fare in modo che essa arrivi a tutta velocità proprio davanti al naso di quello che si ha davanti, preceduta da un urlo che dovrebbe, insieme al movimento, fare "uscire l'energia" in direzione della punta del naso dell'altro. Chi deve "accogliere" la catanata, se ne deve stare immobile con gli occhi rigorosamente aperti (perchè l'esercizio si fa guardandosi dritti negli occhi).
Come durante la maggior parte degli esercizi che si fanno durante l'intensivo, anche qui si assiste a "processi" vari: di paura, per chi deve accogliere la catanata, sempre di paura, per chi deve darla e ha un residuo di buon senso ancora nella testa, ma tutti questi devono venire superati perchè corrispondono ai vari atteggiamenti che si hanno anche nella vita: "processo del non sapere accogliere l'energia dell'altro", "processo del non sapere donare la propria energia all'altro", "processo del non saper tagliare con persone o situazioni" ecc. ecc. Chiaramente, che processo sia e di chi, lo sa il maestro ed è lui che lo va dicendo a questo e quello.
Infine, tutti devono aver catanato e accolto la catanata dall'altro per almeno 3 volte.

Quello che ho chiamato "esercizio della fiducia" consiste nel mettersi uno davanti all'altro ad una certa distanza. Di solito, l'esercizio viene fatto fare a quelli che hanno una relazione di coppia, ma il maestro può anche scegliere qualcuno che rappresenti il padre o la madre dell'altro, secondo la sua superiore visione dei processi che si potrebbero "muovere" nelle persone.
Quando le 2 persone hanno preso posizione, il maestro ne fa voltare una in modo che dia le spalle all'altra. A quel punto dice a chi ha il partner alle spalle di allargare le braccia lateralmente, fino all'altezza delle spalle. Quando lo ha fatto, deve lasciarsi cadere all'indietro, ovviamente senza guardare, mantenendo le braccia allargate in modo che quello dietro lo prenda sotto le ascelle prima che tocchi terra.
Non so se vi potete immaginare cosa può provocare questo esercizio a livello emotivo, sia in chi lo fa che in chi lo guarda. Paura di battere la testa (cosa che succede, a volte), paura di non essere in grado di prendere l'altro (cosa che capita, e anche peggio, perchè ho visto far fare l'esercizio a persone molto impari da un punto di vista fisico: lui grande e grosso e lei minuta ed esile... il risultato era che lui cascava addosso a lei, che ovviamente non era in grado di sostenerlo e si facevano entrambi male). Ma se ci si rifiutava di fare l'esercizio, il maestro cominciava a dire peste e corna sul processo di chi non voleva farlo, mancanza di fiducia, inettitudine, fallimenti vari e alla fine tutti capitolavano davanti a questi "svergognamenti" pubblici. Ah, chiaramente, nessuno "veniva obbligato" verbalmente. Ma le pressioni psicologiche del maestro e del gruppo, credete fossero rose e fiori? Provare per credere!
Alcune volte questo orrendo esercizio veniva spinto all'estremo dal maestro che, dal rapporto di fiducia nei confronti dell'altro, passava a far esplorare ai partecipanti il loro rapporto di fiducia con Dio e li invitava a fare l'esercizio con nessuno dietro, ben sapendo che dietro non c'era nessuno, ripeto.
Se c'era la fiducia in Dio, non ci si doveva preoccupare di niente perchè non ci si sarebbe potuti fare male. Altrimenti, si prendeva una craniata sul selciato che rischiava il trauma cranico. E ho visto tanti farlo. E prendersi una craniata senza lamentarsi perchè avevano "capito" a che punto erano col loro rapporto con Dio....
Dove lo inseriamo, questo esercizio? Nelle terapie folli o nella sezione "sadismo" ? Mi piacerebbe avere la risposta di qualche maestro.

Dopo questa serie di ameni esercizi, si andava tutti a fare allegramente colazione. Un'oretta e la "vera" giornata di lavoro sarebbe cominciata....

- continua -


Tiresia