giovedì 18 febbraio 2010

Di come tanti perdano la compassione verso gli altri

Una cosa spiacevole che ho visto accadere in molte persone che frequentano il gruppo e che è accaduta anche a me nei tempi in cui lo frequentavo, è la perdita di compassione verso gli altri.
Apparentemente, soprattutto durante il lavoro sulle emozioni, le persone sembrano offrirsi un reciproco sostegno, abbracciandosi, lacrimando con partecipazione quando ascoltano le tragiche condivisioni di altri, condividendo il proprio dolore (passato o presente) a chi sembra attraversarlo in quel momento. Questa parvenza di compartecipazione e sostegno offerto agli altri cominciava (e forse comincia ancor oggi) durante l’esercizio di apertura del seminario di primo livello quando le persone venivano invitate a fermarsi a caso davanti agli altri e a guardarli negli occhi dicendo la frase “Ti offro tutto il mio supporto e il mio amore”.
Ma, agli occhi dell’osservatore attento, non potrà sfuggire il fatto che gli abbracci e le manifestazioni di compassione cui si assiste durante il seminario sono abilmente pilotati dal maestro durante il lavoro. E’ infatti molto spesso il maestro che, con un cenno, invita i membri del gruppo ad abbracciare e consolare alcuni di quelli che manifestano dolore emotivo durante il lavoro, soprattutto durante il lavoro sulle emozioni.
Nel tempo, mi son fatto l’opinione che tutte queste grandi manifestazioni di reciproco sostegno e compassione siano fondamentalmente indotte, non veramente sentite e non dubito che all’occhio dell’attento osservatore non potrà essere sfuggito quanto segue:

1. Gli abbracci, come dicevo, solo raramente vengono offerti spontaneamente, la maggior parte delle volte si abbraccia dietro suggerimento del maestro (più volte ho visto persone piangenti in mezzo al cerchio che sono state “spontaneamente” abbracciate dagli altri solo quando il maestro ha detto: “Chi si sente di dare il suo abbraccio a Pinco Pallino può farlo ora”, così come ho visto il maestro fermare persone che volevano abbracciare qualcuno “al momento sbagliato” perché in quel modo si sarebbe “distratto” l’altro impedendogli di sentire per bene il suo dolore.

2. Se una persona è compassionevole veramente, lo è sempre, e non dovrebbe fare distinzioni fra il partecipare al dolore espresso durante il “lavoro” e il dolore espresso in altre sedi, come per esempio hanno fatto le persone che hanno scritto sul forum di questo sito e che non sono state considerate degne di ricevere una sola parola di conforto per quello che avevano vissuto e subìto a causa del “lavoro”. Si vedano ad esempio i post “Una mamma che dice basta a arkeon”, o “Siamo soli”, o “Arkeon” di Milena o tutti gli altri post che parlano di situazioni tristi e drammatiche che si sono create all’interno di tante famiglie a causa delle belle teorie propagandate da questo gruppo (che poi, vale la pena ricordarlo, son tutte frutto di una sola mente e non v’è traccia di un riconoscimento ufficiale circa la effettiva validità e fondatezza di queste belle teorie al di fuori del gruppo stesso!). Oppure si possono ricordare le parole di quella signora, membro del comitato scientifico del gruppo che, durante la trasmissione “Mi manda Rai 3” ha affermato che le testimonianze delle decine e decine di persone che hanno manifestato sofferenza o denunciato abusi psicologici subiti all’interno di questo gruppo “non la preoccupano” (!?!).
A onor del vero, qualche aderente al gruppo che ha scritto sul forum, ultimamente, ha espresso solidarietà a quelli che hanno detto di aver subito abusi, ma dopo quanto tempo? E solo dopo che più volte era stato notato che nessuno del gruppo lo aveva fatto.

3. Comunque, ho avuto modo di notare che la compassione verso chi manifesta sofferenza all’interno del gruppo non viene elargita a tutti i sofferenti, ma solo a quelli che dal maestro vengono giudicati “degni” di riceverla. Mi spiego raccontando un triste episodio di cui sono stato personalmente testimone, accaduto durante un seminario in una città del Veneto.
Una signora, che non era simpatica al maestro (si nota subito se qualcuno gli va a genio o no) era venuta al seminario già in una condizione di sofferenza emotiva evidente in quanto suo marito, uno dei maestri di arkeon, poco tempo prima aveva cominciato una relazione con un’altra donna (in questo indubbiamente stimolato dal maestro e dalla sua bella teoria della trasgressione creativa). Al seminario erano presenti sia il marito che l’altra. Ora, già al momento dell’arrivo di questa signora il grande maestro aveva cominciato a preparare il “terreno psicologico” su cui la poveretta doveva venire accolta, sibilando in modo ben udibile da chi gli stava intorno frasi del tipo: “ Come si permette, questa, di farsi vedere” e “Suo marito è già incazzato perché è venuta” e “Ora ne vedremo delle belle” ecc. oltre a profondersi in varie e ben visibili manifestazioni di affetto e solidarietà verso il marito e l’altra (che, a differenza della poveretta, era molto simpatica al maestro e godeva di una situazione emotiva ben diversa in quanto era, ai tempi, una di quelle che venivano definite dal grande maestro “una donna che aveva fatto il passaggio”).
Durante il momento della condivisione, il grande maestro aveva fatto mettere la poveretta in ginocchio davanti all’altra (ve lo potete immaginare cosa poteva provare e come si poteva sentire? Pensate che era sposata da oltre 20 anni e aveva 3 figli!) e le aveva detto di esprimere quello che sentiva. La povera signora aveva anche cercato di contenersi e in certo modo, cercando di far buon viso a cattivo gioco, non aveva espresso tutta la rabbia legittima che sentiva, ma aveva detto all’altra “Ti affido mio marito e spero che tu gli faccia un c… così, cosa che io non ho mai fatto”. Ora, non credo ci sia bisogno di essere grandi psicologi per capire che, in quella situazione, la signora aveva cercato di contenersi molto, anche perché le donne che dovevano “subire” la trasgressione creativa del marito venivano sottoposte ad una fortissima pressione psicologica da parte del maestro e del gruppo per far sì che il loro atteggiamento non fosse di rabbia verso il marito, ma di rabbia verso loro stesse per non essere state all’altezza di tenersi il marito e averlo “costretto” alla trasgressione creativa come ultimo tentativo di farle “rinsavire ed uscire dalla loro perversione”. Credo che ci fosse, nella signora, ancora la speranza che il marito sarebbe poi tornato da lei, cosa che poi non è successa.
Invece di avere un po’ di comprensione e misericordia per il legittimo vissuto di quella signora, che, secondo il mio modesto parere, giustificava l’aggressività presente nelle parole che aveva pronunciato, il grande maestro le aveva considerate pubblicamente come una prova della sua intrinseca perversione e questo giudizio era stato subito acriticamente accettato da tutto il gruppo tanto che, alla fine di quella condivisione, la signora era svenuta in mezzo alla sala e nessuno, dico NESSUNO (purtroppo, me compreso) aveva fatto neanche il gesto di avvicinarsi per aiutarla o offrirle un po’ di comprensione e conforto. Dopo essere rimasta a terra per un po’, la signora se ne era andata in lacrime, completamente sola, seguita da commenti che di misericordioso non avevano alcunché. Lascio al lettore le dovute conclusioni. E a coloro che si professano buoni cattolici riporto questa frase:

2447 Le opere di misericordia sono le azioni caritatevoli con le quali soccorriamo il nostro prossimo nelle sue necessità corporali e spirituali [Cf Is 58,6-7; Eb 13,3 ]. Istruire, consigliare, consolare, confortare sono opere di misericordia spirituale, come perdonare e sopportare con pazienza. E il link da cui è tratta : http://www.corsodireligione.it/etica/morale_crist_7.htm-continua -
Tiresia